venerdì 23 agosto 2013

CONCA DI CIMONEGA

E' il circo glaciale più a bassa quota del gruppo del Cimonega, poi è un intaglio precipite dove scorre il torrente fra versanti ripidissimi che scendono alla sottostante Valle di Canzoi, circa mille metri giù.
Tutto l'anfiteatro del gruppo sembra convergere in questo erboso pianoro.
Netto soprattutto è il bianco ruscellamento di rami attivi e non del luogo che vanno tutti nella direzione di questa conca di origine glaciocarsica.
Spettacolare soprattutto sono i due corsi principali che provenendo da due diversi circhi superiori vanno ad incontrarsi sotto la casera Cimonega . Di fatto unendosi danno vita ad un' unico corso che si proietterà verso valle.
I declivi pian piano si addolciscono e terminano nella conca, trasportando con se materiale che sedimentando forma delle collinette moreniche e nivali, che vengono continuamente modellate dall'azione delle acque.
Il paesaggio ha un che di bucolico, era in passato alpeggio per armenti, ed il sentiero finale che porta al piano è detto appunto Troi de le vache.
La casera, riparo dei malgari si trova verso l'estremità meridionale della conca e di fatto è il manufatto, se si escludono i bivacchi superiori, che l'uomo abbia edificato in alto (m. 1627) della zona.
Per i botanici c'è una nutrita varietà di fiori.

giovedì 22 agosto 2013

RAMI ORIENTALI

Oltre la risorgiva del ramo del Pian della Regina, proseguendo verso oriente, circa a metà delle elevazioni del Sasso delle Undici e del Comedon, c'è una sequenza continua di rami fossili di corsi che fuoriescono da una medesima faglia.
Anche questi sono sempre privi d'acqua tranne che in situazioni eccezionali.
Però nel corso del tempo hanno impresso molto il terreno su cui gravitano.
Risalta nettamente il loro letto bianco tra il verde scuro delle mughete e degli zerbi.
Convogliano tutti sulla sottostante piana di Casera Cimonega.

DA "ALTITUDINI:IT"

Da un articolo di Teddy Soppelsa tratto dal blog Altitudini.it

Ripensiamoci, prima che tutto scompaia



Guardiamo bene il torrente Caorame finché siamo in tempo. Prima che le sue acque, nell’unico tratto ancora libero da ogni sfruttamento, vengano incanalate per produrre energia elettrica, modificando irreparabilmente l’ecosistema del torrente.

Avviciniamoci alle sue rive, godiamoci lo spettacolo che solo un torrente di montagna libero di scorrere può offrire. L’acqua è limpida e ben ossigenata per il suo moto turbolento tra grossi massi, salti, piccole cascatelle e rapide.
Dove non è stato imprigionato si vede un torrente vivace che risente delle variazioni di portata degli eventi meteorici (lo sciogliersi delle nevi, gli improvvisi temporali estivi, le intense precipitazioni tardo primaverili e autunnali, i brevi periodi di siccità).
Seguiamo i sentieri che si aprono a pochi passi dalla riva fra la vegetazione riparia, scopriremo un luogo molto speciale di transizione fra due sistemi ecologici adiacenti. Alziamo lo sguardo verso la sommità dei versanti entro i quali nei millenni il torrente ha scavato il suo letto, prima ripido e diritto, poi pianeggiante e curvo. Investighiamo sulla natura delle formazioni rocciose che emergono come recenti ferite o antiche cicatrici. Interroghiamoci sul nome di alberiarbustierbe e fiori che amano l’acqua e popolano sponde e rive.
Chiediamoci quale animale ha lasciato le impronte nel fango, rimaniamo discosti dalla riva quel tanto per osservare il guizzare delle trote, entriamo nell’alveo e solleviamo un masso per vedere le comunità di macroinvertebrati che vi abitano. Respiriamo a pieni polmoni gli odorie i profumi che aleggino nella forra ed evaporano ai primi raggi del sole.
Facciamo tutto questo, prima che tutto scompaia, prima che l’acqua del Caorame, nel tratto forse più spettacolare e integro del suo fluire, venga incanalata dentro delle tubazioni per produrre energia elettrica, modificando irreparabilmente l’ecosistema del torrentee privando i cittadini di un proprio bene.

Il progetto di sfruttamento
Il Caorame nasce nella conca di Cimonega (Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi), sul versante sud del Sass de Mura, nel comune di Cesiomaggiore (BL). Da lì si immette nel lago artificiale de la Stua, poi prosegue verso sud-ovest lungo tutta la val Canzoi, fino a sfociare nel fiume Piave nei pressi di Busche. Lungo il suo percorso, di circa 20 km, sono presenti due centrali idroelettriche di proprietà Enel, quella di la Guarda e quella di Arson. Lo sfruttamento ad uso idroelettrico del torrente è quindi già notevole.
Tuttavia le amministrazioni comunali di Feltre e Cesiomaggiore, hanno visto nell’acqua del Caorame un buon affare per dare ossigeno ai propri bilanci e da tempo hanno progettato di sfruttare l’unico tratto ancora disponibile, quello che va dalla centrale di Arson fino alle Busette di Pullir.
Ecco i dati, come pubblicati dal Corriere delle Alpi del 11 marzo 2011:
“Dalla centrale di Arson saranno prelevati 2,5 metri cubi al secondo, per una resa massima stimata in 1310 Kw/h. Con 4100 metri di condotte di 1,4 metri di diametro (in ben quattro punti il torrente verrà attraversato dalla tubazione), l’acqua sarà portata alle Busette di Pullir, sfruttando un salto di 70 metri per produrre energia. In ballo c’è un investimento di 9 milioni e 100 mila euro. L’introito annuo sarà di 470 mila euro, da dividere fra i due partner dell’iniziativa (il 51% al Comune di Feltre e il 49% al Comune di Cesiomaggiore). Il progetto prevede rilasci di 336 litri al secondo per sei mesi all’anno (da dicembre a febbraio e poi da giugno ad agosto) e di 477 per gli altri sei mesi. La portata media del torrente è di 2,5 metri cubi al secondo.
I tecnici del Bim che hanno realizzato il progetto affermano: «I 2,5 metri cubi d’acqua prelevati garantiscono sia l’esigenza economica (sotto non ci sarebbe grossa redditività) che ambientale. Prevediamo il deflusso minimo in 600 metri cubi».”
A che punto è il progetto?
Nel mese di ottobre 2011 il progetto è stato depositato presso il Genio civile che dovrà ora esprimersi sulla richiesta di concessione.
Se arriverà l’assenso del Genio civile la concessione sarà resa pubblica e ogni altro soggetto, pubblico o privato interessato allo sfruttamento idroelettrico del torrente, avrà trenta giorni di tempo per presentare una proposta alternativa.
Dopo di che, teoricamente, sarà possibile aprire i cantieri e quindi procedere alla distruzione di uno fra i torrenti alpini più sani di tutta la provincia di Belluno.

Ma un futuro diverso è possibile?
Sì. Proponiamo la creazione del “Parco fluviale del torrente Caorame”
I dati dicono che in questo progetto i due comuni investiranno oltre 9 milioni di euro con un ricavo presunto di circa 200.000 euro all’anno per ciascuno. La domanda che ci poniamo è la seguente:
“considerato lo stato attuale dello sfruttamento complessivo dei torrenti in provincia di Belluno (solo il 10% dell’acqua scorre ancora nel proprio alveo originale) ed in particolare quanto già grava sul torrente Caorame, non sarebbe più lungimirante dedicare ogni sforzo per progettare altre forme di uso della risorsa acqua?”.
La nostra idea è la creazione di un “Parco fluviale del torrente Caorame”. Le amministrazioni comunali di Cesiomaggiore e Feltre potrebbero unire le forze per stipulare un patto per l’uso eco-turistico del torrente come opportunità di sviluppo economico del territorio.
Oggetto del patto dovrebbe essere il governo del “Parco fluviale del torrente Caorame”, inteso come un’unità-totalità (non esprimibile con l’insieme delle parti che lo costituiscono), da esercitare in forma partecipata, nella condivisione dei suoi valori, delle sue criticità, delle risorse certe e potenziali, sotto il profilo urbano-antropico, paesistico, idrologico, ecologico, sociale e culturale.
Un contratto fra il torrente, le amministrazioni che governano il territorio e gli abitanti, dove sono indicate le azioni di gestione e di salvaguardia del patrimonio territoriale, quanto le azioni di progettazione e trasformazione in una risorsa eco-turistica.
In concreto pensiamo a progetti di sentieri naturalistici da percorrere a piedi e in bicicletta, ad altane di osservazione, a siti interpretativi dei sistemi ecologici ed antropici, a piazzole di imbarco e approdo per discese in kayak, alla pesca sportiva, a zone adibite a spiaggia fluviale, alla creazione di laboratori didattici e tutto con il coinvolgimento di guide naturalistiche, proprietari di bed and breakfastaffittacamereristoratori e imprese agricole.
In questo modo vorremmo si ragionasse su come sfruttare le grandi risorse di cui dispone il torrente Caorame.

domenica 18 agosto 2013

LEGGENDA DELLA CHIESA DI SAN EUSTACHIO

La leggenda narra che i laghetti di San Eustachio sarebbero nati per lo sprofondamento della chiesa stessa.
Una versione racconta di ben sette matrimoni celebrati assieme in una non ben determinata domenica.
Nell'ultimo matrimonio, si presentò sulla porta d'entrata l'ex spasimante della futura sposa. Entra con fracasso nella chiesa ed ammazza con due colpi entrambi i venturi coniugi. Come per maleficio la chiesa sprofonda nella melma, tutti coloro che vi si trovavano per castigo divino all'atto sacrilego e come per miracolo apparvero tre laghetti.
Una seconda versione invece narra sempre di sette matrimoni, ma tutti gli sposi all'improvviso, usciti di senno, forse a causa di un maleficio demoniaco, si mettono a bestemmiare Iddio.
Immediata la collera divina, che inabissa i blasfemi.
Noi oggi possiamo ammirare questi "candidi" laghetti.

giovedì 15 agosto 2013

CASTELLO DELLA SALGARDA

Sembra che nella localita Salgarda, dove oggi c'è il ponte sul torrente Caorame, che mette in collegamento il feltrino con la comunita di Cesiomaggiore, vi fosse un castello. Probabilmente a difesa di qualche antico tracciato (nelle vicinanze c'è anche il castello de' Lusa). Secondo lo storico Daniello Tomitano prorietaria del maniero era l'omonima famiglia Salgarda, antica e nobile appartenente alla città di Feltre.
Dice lo stesso: "e possesse una torre con giurisdizione di pedaggio in capo del ponte del fiume Cavrame verso mattina (quindi sulla riva sinistra orografica), et si nominava la Salgarda...discende secondo alcuni da longobardi. Altri vogliono che vengano da Padova e che fossero degli Transalgardi et che, levate le prime quattro lettere, ritenessero il salgardo". Probabilmente si trattava di una torre di controllo del ponte. Lo stemma è adottato da Salgardo che parteciperà alle crociate del 1096 a seguito del vescovo feltrino Giovanni da Vidor.

RAMO COL DEI BECCHI

Non vi è apporto d'acqua, almeno superficiale, per quanto riguarda tutta l'area occidentale del circolo di Cimonega. Cioè in tutta la scarpata ed i declivi che si sviluppano sotto il Sass de Mura, e la dorsale che scende verso sud-est.
Anche se sono numerose le tracce lasciate da letti ghiaiati, che scendono rapidi su ghiaioni o su salti di banche rocciose. Per lo più sono fossili. Oppure sono attivi soltanto in fase di disgelo o in particolari situazioni di forti precipitazioni, comunque casuali.
L'unico ramo che rileva presenza d'acqua durante l'anno, anche se solo in parte superficiale, è alla fine della dorsale, quando terminano le rocce ed inizia la parte finale prativa, detta del Col dei Becchi, lungo il tracciato 801. Poco oltre la montagna cadrà precipite verso la Val di Canzoi  (monte Sviert).
Il corso segue una direttrice SE-NW verso la sottostante casera Cimonega.

mercoledì 14 agosto 2013

NEI GORGHI DEL CAORAME

Leggendo nei libri di storia; o meglio nelle cronache del tempo è facile imbattersi in notizie che purtroppo sono tuttora attuali. Come ai giorni nostri anche in passato i torrenti causavano vittime per annegamento.
Così si legge ne "Il Tomitano"a. XVII n. 22, 18 novembre 1888.
"La ventenne B:C: di Cesiomaggiore camminava lietamente in compagnia di suo fratello e di altri di famiglia: Nel passare il ponte sul Caorame si avvicinò troppo al basso parapetto e perduto l'equilibrio precipitò nell'acqua impetuosa e abbondante. Si corse tosto in aiuto della infelice, ma non si giunse che a estrarne il cadavere di lei cinque miglia sotto il ponte"

RAMO PIAN DEL RE (tratto basso)

Dopo aver superato il sentiero 801, il corso si orienta verso levante.
Si getta tra le rocce, in una forra aperta, data l'inclinazione delle pareti.
Prosegue dati i salti in cascate e dove l'accumulo di massi provenienti dai piani superiori, scompare e ricompare fra essi.
I mughi fanno ancora da padroni in questa parte di scarpata.
Quindi arriva al piano basale di Casera Cimonega ed il proseguio è pressochè pianeggiante.
Forma un meandro dallo scorrere lento tra praterie alpine, dove vicino al suo defluire crescono radi abeti rossi. La presenza d'acqua qui resta perenne.
Va infine a congiungersi, proprio sotto la casera alle acque che arrivano dai circhi superiori del Pian della Regina. Le acque ora unite, diventano più cospicue e formano d'ora in avanti un unico corso, il quale andrà a svilupparsi un percorso completamente diverso.

martedì 13 agosto 2013

RAMO DEL PIAN DEL RE (Tratto di mezzo)

Le acque scese dal Sass de Mura una volta unitesi, percorrono il tratto del primo circo glaciale.
 Da qui superano con cascata una scarpata di circa 3/5 metri d'altezza per scorrere successivamente nel terrazzamento sottostante, che a differenza del superiore è molto più erboso.
 Il terreno nella parte alta è abbastanza regolare per poi scendendo diventare irregolare e scomposto. Il corso segue una via abbastanza definita.
 Numerose sono le risorgive qua e là. Frequente invece è la perdita d'acqua dovuta al terreno calcareo che le assorbe. Facile quindi vedere una risorgiva che dopo breve tratto scompaia.
Si assiste al solito gioco di cascatelle, scivoli, piccole forre, buioni.
Pressochè al centro della scarpata sotto un salto di roccia vi è la presenza di un antro da cui vi è una consistente risorgiva, da qui riparte il corso che in avanti si fa più definito.
 Converge qui anche il ramo che scende a ridosso del Col del Mul.
 Ora si incanala in canyon ben definito e con una bella cascata va a oltrepassare il sentiero che dal bivacco Feltre-Walter Bodo va verso il rifugio Boz, lungo il tratto finale dell'Alta Via n 2.
I declivi alla base della Parete Piatta sembrano non dare apporto se non in casi eccezionali. Come detto nel post precedente c'è una grande differenza di presenza d'acqua nelle due visite. Qui particolarmente lo si riscontra data la forte presenza di risorgive.
(La foto in alto mostra in alto la frana del Piz de Mez ed al centro l'antro su descritto).

lunedì 12 agosto 2013

RAMO PIAN DEL RE (Sass de Mura)

Nella parte occidentale del Cimonega insiste il circo glaciale denominato Pian del Re.
Qui si sviluppa un altro dei rami che portano alla formazione del torrente Caorame. 
L'anfiteatro è circondato ad ovest dal complesso roccioso del Sass de Mura con il prolungamento della Parete Piatta, in alto a settentrione dal Piz de Mez diviso dal precedente dalla Forcella Cimonega che mette in comunicazione con il Primiero ed a oriente con il Col del Mul, diramazione del Piz de Mez.
Il declivio è caratterizzato da una grande frana dovuta, per probabile antico cataclisma, alla disintegrazione della parte occidentale del monte Piz de Mez.
Per quanto riguarda il sistema di acque in questo luogo, arriva direttamente per sistema sorgentizio di faglia dalle pareti del Sass de Mura.
Due sono i corsi che scendono dalle rocce attraverso scivoli e cascatelle, a destra e sinistra della vetta secondaria denominata Punta del Re.
Per poi incontrarsi verso la fine delle rocce ed unirsi. Quindi scendere al centro del circo sottostante a lato di un pianoro leggermente rialzato in forma sinclinale roccioso.
Nella parte sinistra orografica si sviluppa una depressione erbosa da cui parte un piccolo corso.
Molto mutevole l'apporto meteorologico delle acque con notevole dispersione nel sottosuolo. Data l'eccezionalità delle nevi e piogge di questa annata (2013) nel corso della perlustrazione datata 7 luglio buona era la presenza, mentre nella giornata del 4 agosto rimaneva soltanto il corso, scarso comunque, a sinistra della Punta del Re. In questo lasso di tempo ci sono state in prevalenza giornate serene con gran caldo.
In questa area, dovuta anche alla minor frequentazione di escursionisti, si concentra soprattutto in estate, la presenza di camosci e mufloni.

sabato 3 agosto 2013

CHIESA DI SAN EUSTACHIO

A metà della Valle di Canzoi, sulla sinistra orografica, si trova un terreno prativo quasi pianeggiante, con dolci ondulazioni. Si chiama, nella vulgata popolare, San Stach.
E' conosciuto anche per la presenza di alcuni laghetti.
La chiesa non esiste più da tempo immemore, ma notizie storiche ne attestarono la presenza.
Le notizie ci arrivano ai nostri giorni, dai verbali del 1585 del vescovo di allora della diocesi di Feltre, Jacopo Rovellio. Nel suo "regno", il chierico percorse tutta la diocesi, per sincerarsi, uscito dal concilio di Trento, dello stato d'animo delle anime e prendere visione delle tante chiese che sorgevano nel territorio. Di questa farà scrivere al suo segretario, che non fu visitata perchè minacciava di cadere in rovina e che per raggiungerla il tragitto fosse faticoso e difficile e distante più di tre mila passi da Soranzen e differiva la visita a tempi più opportuni. Riportava inoltre.. che possiede la fabbriceria di San Eustachio alquanto prato circostante alla chiesa con stalla e casera dove Vittor Natale di Culogne tiene dieci pecore in società con detta fabbriceria che ne detiene la proprietà ed a essa dà la metà dell'utile godendo dell'usufrutto del predetto prato con il solo onere di provvedere all'illuminazione della chiesa...
Vi era presente la Società del Santissimo Sacramento, anche se la stessa da alcuni anni non si radunava più.
Nei pressi c'era un piccolo cimitero per gli abitanti della zona.
Sulla caduta in rovina della chiesa nasceranno delle leggende che si tramanderanno ai giorni nostri.

RAMO DEL PIZ DI SAGRON (tratto basso)

Oltrepassato il piccolo circolo sottostante il Col del Mul, il ruscellamento si getta lungo la scarpata, praticamente al centro di essa.
Nella prima parte si apre un percorso tra le rocce con brevi cascate suggestive. Va anche a sovrapporsi al sentiero che dalla Valle di Canzoi porta ai bivacchi. Molto suggestivo il tratto qui su roccia con cui si viene a contatto di una cascata. (tratto attrezzato per gli escursionisti). Poi segue in linea quasi diritta su lungo scivolo e termina su un sottostante catino. Ora la vegetazione (soprattutto mughete) si fa più presente. Ennesimo connubio di scivoli e cascate e tratto di sentiero. Da qui si immette in un piccolo canyon e si getta in un acrobatico salto. Da vita ad un ennesimo piccolo lago di stupenda bellezza visiva. Anche qui si ha l'occasione di passarvi accanto. Da qui sparisce in un successivo meandro roccioso e va a mischiarsi alle acque che scendono dal Pian della Regina per poi scorrere sul sottostante circo glaciale di casera Cimonega.

RAMO DEL PIZ DI SAGRON (Parte intermedia)

La ricognizione è stata effettuata il 7 luglio 2013.
Questa annata è stata molto piovosa e numerose sono state le precipitazioni nevose fino a tarda primavera e c'è ancora parecchia presenza di lingue ed accumuli di neve, tanto che non è possibile risalire oltre una certa quota per rilevare il luogo esatto della sorgente.
Descriviamo qui il tratto dalla base del versante orientale del Piz de Mez, che denominiamo "circo del Piz de Mez". Le prime acque derivano da neve di fusione e proseguono comunque da subito su un corso già ben strutturato formatosi su un terreno roccioso. La via scorre in alto sulla sinistra orografica della vallecola compiendo un arco.
Va quasi subito ad incanalarsi in un piccolo canyon di un'altezza relativa di circa due metri, poi va a seguire, a piedi delle rocce,  una probabile microfaglia. Quindi
scendere con delle piccole cascatelle e scivoli in direzione sud. Qui percorre sotto i declivi che si aprono tra il Col del Mul e lo stesso Piz de Mez e che in alto si aprono verso forcella Leone, lungo il sentiero che porta anche all'altro opposto, Pian del Re. Qualche salto di dislivello e le acque formano un piccolo boione da dove viene incanalata su gomma l'acqua che serve i sottostanti bivacchi Feltre-Walter Bodo. Scorre a lato della collina morenica che lo divide dal Pian della Regina e su meandro in pianoro ( circo del Col del Mul) si lancerà oltre la scarpata di Cimonega su terreno calcareo.